giovedì, dicembre 14, 2006

Conosci Emule?


In realta' non si tratta di un gioco che se con questo software P2P puoi scaricare giochi completi oltre che musica, videos, films e programmi ma soprattutto puoi scaricare e condividere con altri CULTURA!
Esatto, dal "Mulo" trovi tantissimi documentari, appunti, dispenze e manuali digitalizzati che neanche Cepu ti aiuta così tanto per gli esami universitari!!!!LOL!!!
Scherzi a parte, il P2P (peer to peer) è un servizio utilissimo che se usato correttamente può diffondere conoscenze come nessun'altro strumento al mondo!
Come in tutte le cose bisognia stare molto attenti a ciò che scarichiamo ma con le dovute precauzioni e qualche bella strinata, si impara a godere a pieno delle sue potenzialità!

Concludo con una raccomandazione a tutti coloro che gia utilizzano questio programmi e cioè, condividete più file possibe, non parlo di roba personale ci mancherebbe, ma tutti i file che possono essere utili anche ad altri metteteli in release cosi anche altri potranno beneficiarne!!!!



Con queste post non intendo in nessun modo promuovere la pirateria informatica nè tanto meno la diffusione di files coperti da diritti d'autore, mi limito ad esporre le caratteristiche di un programma e tutti i files a cui faccio riferimento sono dati di libera diffusione.
LA PIRATERIA E' UN REATO!



clicca per accedere al sito ufficiale:

eMule Italia

mercoledì, dicembre 13, 2006

E' uno schifo!


è uno schifo la motatura che mediaset stà mettendo sù nei confronti di Prodi!
come premessa, ci tengo a precisare, che non sono un ammiratore dell'attuale Presidente del consiglio che non ha niente di meglio rispetto a tutti gli altri ma la cosa che mi fà andare su tutte le furie è il "cappio" che giorno per giorno gli sta preparando l'ex premier attraverso la montatura delle notizie sui suoi telegioenali, il problema è comunque molto più grave e profondo:
"Truffolo" infatti, nome coniato dal grande Beppe Grillo, detiene un potere troppo grande che non ha niente a che fare con la carica politica che deteneva (e che temo tornerà a coprire) ma è invece un potere di influenza, emorme, che entra nelle case di tutti (infatti la stragrande maggioranza delle famiglie si informa sugli avvenimenti del mondo attraverso i telegioenali di Mediaset) e che ha la possibilità di alterare la realtà degli avvenimenti.
Mi preoccupano soprattutto le persone culturalmente più deboli che sono le vere destinatarie del messaggio in quanto sono la maggioranza(la sua famosa maggioranza); ricordiamo che il nostro paese è costituito soprattutto da anziani, i più dei quali hanno un istruzione bassa o comunque con la sola pensione sono affascinate dai miracoli che professa il Nano!.
Ad essi dobbiamo anche sommare i ragazzi che stanno ancora formando la loro coscienza e sono competamente rapiti dai canali che gli offrono maggiori servizi quali cartoni animati e Film ammaestrati sin da piccoli ad un consumismo eccessivo, bombardati di pubblicità e trascinati, pian piano, subdolamente, ad un unico mezzo di informazione possibile:i loro telegiornali.)

Si sono presi con l'inganno la maggioranza dei votanti e adesso si stanno allevando quella futura, ma nessuno veramente può farci niente?

Io credo che l'unico antidoto sia informarsi.
E se qualcuno crede che questa frase sia scontata e ovvi, pensate solo un secondo ai nostri tempi, a quanti modi, mezzi e fonti abbiamo per ottenete informazioni, la stessa era in cui viviamo è chiamata dell'infoemazione eppure!? come rispondiamo a questa facilità ed a tutti pregi dell'era moderna?
...la risposta è: Prendiamo titti le informazioni (e aggiungerei anche i nostri bisogni) DALLA STESSA FONTE!
e se qualcuno si sentisse puito e libero da queste catene io lo ammiro ma credo che non è solo informandosi da altre fonti che ci isoliamo da un mondo in cui tutti siamo inseriti e dove ogni nostra scelta deriva (anche in se in minima parte da una volontà comune) riflettiamoci...

Comunque questa è solamente l'opinione di un 19enne che non ha ancora visto nulla del mondo e che magari fantastica troppo ma IO CREDO fortemente che OGGI come mai prima d'ora siamo schiavi,è vero, ma allo stesso tempo abbiamo mai abbiamo avuto cosi tante chiavi per liberarci, bastera provare un pò (ed è questo che ci manca) ma un pò alla volta tutte le porte si apriranno.
...SIMLAV
accetto e attendo ogni commento e critica da chiunque, anzi, è proprio per questo che scrivo...amo il confronto...BUONE FESTE A TUTTI.

domenica, ottobre 22, 2006

Il Ministro Gil

Il ministro col birimbao
Gilberto Gil, il musicista ministro della cultura in Brasile, e le sue canzoni



“Per un cittadino che ama la propria gente, che si interessa dei problemi sociali, che si impegna per cambiare le cose, avere la possibilità di svolgere un ruolo politico è un’occasione unica, da non perdere. Per questo essere il ministro della cultura del mio Brasile per me è un onore”. Con queste parole Gilberto Gil, uno dei cantautori brasiliani più famosi al mondo, ha concluso il suo concerto di domenica 3 luglio al teatro Dal Verme di Milano, per la rassegna Milanesiana. Gli spettatori non hanno resistito a lungo inchiodati alle poltroncine. La musica del ministro di Lula ha pian piano conquistato tutti, trascinando menti e cuori. Il finale è stato un tripudio di balli improvvisati. Tutti in piedi, trasportati dai ritmi di birimbao (o berimbau), percussioni, chitarre e fisarmonica.

Lo spirito bahiano. “Faccio il ministro undici mesi all’anno e per un mese indosso i panni del musicista e canto, suono, ballo con la mia band. Tutto questo a discapito, certo, della mia musica. Il tempo dei compositori è tiranno. Sono ormai due anni e mezzo che non compongo una nuova canzone, ahimè, ma il mio impegno politico con Lula è talmente coinvolgente, appagante, che sono felice così”, ha continuato Gil, vero e proprio idolo per i brasiliani e in particolare per i bahiani. Gilberto Gil è infatti nato 63 anni fa a Salvador, la capitale dello stato di Bahia, dove monumenti e strade lo richiamano, lo invocano, lo ricordano a ogni passante. Gil, protagonista del rinnovamento musicale del suo Paese, è colui che ha dato il via insieme a Caetano Veloso alla nascita del "tropicalismo", movimento che partiva dalla bossa nova di Joao Gilberto e Antonio Carlos Jobim per recuperare tratti della musica popolare bahiana e di altri linguaggi dell’intero Nord-est. La sua è una carriera eccezionale, dallo stile in continua mutazione. Ha ottenuto undici dischi d’oro, cinque dischi di platino e i suoi album hanno venduto più di cinque milioni di copie. Ma quel che più conta è che Gil è il simbolo del riscatto del negro, è l’emblema dell’afrodiscendente che parla di uguaglianza, di pace, di solidarietà. E’ l’artista del no a barriere, a pregiudizi. E’ l’uomo che è dovuto fuggire dal suo paese perseguitato dalla dittatura che lo avrebbe voluto imbavagliato e silente. E’ colui che ha conosciuto Hendrix e i Beatles, che ha girato il mondo dando e ricevendo carisma, intelligenza, talento, e ovunque cantando di schiavi, di negros, di libertà, di disuguaglianze e riscatto della gente povera. Gil canta le favelas, le baracche scintillanti per la gioia di vivere e la capacità di sorridere. La sua musica racconta l’arcobaleno che il popolo brasiliano nasconde nei grandi occhi neri, pieni di orgoglio e determinazione, di forza e bellezza.

Un simbolo del cambiamento. “Quando Lula mi ha chiesto di diventare ministro ho capito che era arrivato il momento, finalmente avrei potuto mettere la mia predisposizione a comunicare col pubblico al servizio del mio popolo. Il ministro della cultura brasiliana è colui che sa comunicare a tutti, senza distinzioni, senza pregiudizi. E aver scelto uno come me, di discendenza africana e esponente della classe media è un vero segno di cambiamento, un esempio chiaro e importante”, aggiunge. E durante il suo concerto canta in ogni lingua, suona la musica di culture differenti riunite con maestria e sonorità uniche. Dall’omaggio a Chuk Berry si arriva a una struggente Imagine di John Lennon, dal messaggio universale. E passando per samba e bossa nova brasiliane Gil tocca il tango latinoamericano, citandone la leggenda uruguayana che ne attribuisce le origini al suono di una percussione arrivata dall’Africa assieme agli schiavi deportati. E quindi il tributo a Bob Marley, colui che ha rivoluzionato la melodia, il ritmo, ma soprattutto “colui che ha portato il messaggio della pace, del rispetto per l’altro, della rivolta del povero in giro per il mondo. Colui che mi ha dato speranza, che ha portato luce e solidarietà a chi non aveva nemmeno di che sfamarsi”. E quindi canta in inglese, in spagnolo e in francese. La sua La lune de Gorée è un vero e proprio manifesto dell’uguaglianza, è un urlo di dolore, una denuncia dell’orrenda schiavitù. Scritta con Capitan, è in lingua francese perché dedicata ai senegalesi, colonizzati dalla Francia e deportati in massa per secoli. “La luna che si alza sull’isola di Gorée è la stessa che si alza in ogni parte del mondo. Ma la luna di Gorée ha un colore profondo, che non esiste in nessun’altra parte del mondo. E’ la luna degli schiavi. La luna del dolore. Eppure la pelle dei corpi di Gorée è la stessa pelle che copre tutti gli uomini del mondo. E’ la pelle degli schiavi, una bandiera di libertà”.

Manifesto programmatico. Il programma di governo del ministro della cultura del Brasile sta dunque esattamente nelle sue canzoni: parlare lo stesso linguaggio, vivere in un mondo senza barriere né conflitti, godere di diritti uguali per tutti e praticare una religione universale. In Guerra Santa il suo pensiero è chiaro. Nato nella culla del sincretismo religioso, nella Salvador degli axé (oggetti sacri delle divinità) e dell'iconografia cattolica, Gil è cresciuto con un forte senso della religione, quella imposta, quella dei santini da vendere e delle grazie da comprare. Quella è la città dove il condomblé, rituale d'origine africana per ingraziarsi gli dei chimati orishá, va a braccetto alla messa cattolica; è il luogo dove si offrono sacrifici agli dei e subito dopo si fa la comunione nelle centinaia di chiese cattoliche sparse ovunque; è il posto dove il profano fuso al sacro sta alla base della cultura, delle società, del quotidiano. Inconfondibile dunque il suo pensiero: “Il nome di Dio può essere Oxalá, Gesù, Tupã, Maometto, e sono tanti e i più differenti, sì, ma per sogni uguali”.

La chiusa perfetta. E se si pensa che la canzone prescelta per l’encore, per la chiusura nel tripudio generale è Nos barracos da cidade, il messaggio di Gil è presto svelato. Scritta nel 1985, è la voce del popolo delle baracche contro la corruzione dei politici locali che promettono, promettono, senza mai mantenere. E’ il ministro che canta “Nelle baracche della città, nessuno più ha l’illusione nel potere dell’autorità di prendere una decisione […]. Il governatore promette ma il sistema dice no. I guadagni sono molto grandi, ma nessuno ama aprire la mano. Perfino una piccola parte già sarebbe la soluzione. Ma l’usura di quella gente è ormai diventata una storpiatura. Oh, gente stupida. Oh, gente ipocrita”. Che sia la risposta a tutte le accuse di corruzione che il governo Lula sta cercando di affrontare? Che sia un modo per ricordare che lui fa parte di un governo di persone che hanno fatto della lotta alla corruzione una ragione di vita?

Un persidente del consiglio come Lula e un ministro come Gil sono veramente una svoltà e un soffio di speranza per il popolo Brasilia (o meglio per i deboli Brasiliani) .Un ministro nativo Africano venuto dal popolo e soprattutto amato da tutti, se riesce a non cadere nella tela della corruzione, che per altro nella politica Brasiliana è potentissima e diffusa pressochè ovunque, questo potrebbe avere ottime ripercussioni sia a livello nazionale che per quanto riguarda tutti i paesi più arretrati....Simlav

favelas e giovani.

Le Favelas in Rio

Per chi non conosce la geografia di Rio de Janeiro è bene dire che la città ha al suo centro la più grande foresta urbana del mondo (foresta da Tijuca).
In questi ultimi 30- 40 anni si sono sviluppate una quantità enorme di favelas (loro si dicono comunità perché favela è un termine dispregiativo) nelle zone marginali e specialmente lungo le pendici delle colline della stessa foresta.



Una miriade di favelas. Nel linguaggio comune di Rio, dire morro (collina) è diventato sinonimo di favela. A Rio ci sono 701 favelas, dove vivono circa 1,5 milioni di abitanti e il comune di Rio ne ha 5,5 milioni. Significa che un abitante su 5 vive in questo tipo di situazione.
Il potere pubblico fin dall’inizio non si è interessato e ha abbandonato le favelas guidati dalla logica di ghettizzare i neri e i poveri, seguendo la filosofia del "che si arrangino, basta che stiano lontani". Ma cosi facendo ha permesso che ogni comunità si organizzasse da sola. Non essendo aree dove regnava la legge sono diventate dominio progressivo di traffici illegali, specialmente della droga.

Città di Dio. Un buon film per capire alcune cose sulla situazione urbana di Rio è il film brasiliano : “Cidade de Deus” e se non lo avete visto ve lo consiglio.
Nel film si vede in che modo si è organizzato chi vende la droga. Via via, un po' alla volta, il commercio ha occupato progressivamente gli spazi e la guerra fra bande per il controllo delle aree ha invaso la quotidianità.
Attualmente sono tre le fazioni (dette anche falangi) che gestiscono il narco-traffico a Rio: Comando Vermelho (il più vecchio), Terceiro Comando, Amigos dos Amigos. Ogni favela di Rio appartiene a uno di questi tre gruppi e chi appartiene a una favela può circolare solo nelle favelas dello stesso gruppo.
Le favelas sono come città chiuse, entra solo chi è conosciuto e chi ci abita, tutti gli altri sono potenziali nemici o poliziotti.

Nemici per la pelle. Siccome gli appartenenti a fazioni rivali si considerano tra loro nemici mortali, succede che quando le persone vanno in carcere (sia trafficanti che ladri comuni) sono tutti paragonati ai trafficanti e devono decidere a quale gruppo appartengono e andare nella area di quel gruppo. Anche chi ha commesso reati comuni e non appartiene a fazioni criminose è obbligato dalla polizia a scegliere di identificarsi con una fazione. Cose assurde.

Cifre non parole. Per riassumere quanto descritto basta guardare il rapporto dell'Unesco sui morti per arma da fuoco in Brasile. Negli ultimi dieci anni queste vittime superano il numero di quelle registrare in 23 conflitti bellici, passando al secondo posto dopo le guerre civili di Angola e Guatemala.
In questo periodo sono morte 325.551 persone, una media di 32.555 morti per anno. I dati fanno parte dello studio: “Mortes Matadas por armas de fogo no Brasil 1979 – 2003”, che è stato diffuso il 27 giugno dal rappresentante UNESCO in Brasile, Jorge Werthein e dal Presidente del Senato Federale, Renan Calheiros, al Senato, in Brasília (DF).
Questo studio ha come obiettivo di sensibilizzare la società brasiliana sull’importanza del disarmo della popolazione e l’approvazione del referendum per restringere il libero commercio delle armi da fuoco, che deve essere approvato in questi giorni .
Lo studio rivela che tra il 1979 e il 2003 le armi da fuoco abbiano ucciso 550 mila persone. Il che significa 35mila vittime all’anno, 100 al giorno.
La ricerca conferma che i giovani tra i 15 e i 24 anni sono le principali vittime: 206mila. Solo nel 2003, nel 41,6% dei casi erano giovani.

Giovani, triste primato. La ricerca è stata fatta in base ai dati del sistema di informazione della mortalità brasiliano (DATASUS del ministero della salute) e poi confrontato con dati internazionali. E’ stato comparato anche con altre tipo di morti (incidente stradale, malattie, ecc..). Inoltre queste morti sono state confrontate con il numero delle vittime di 26 conflitti armati di 25 paesi del mondo in diversi periodi.
Quello che risulta impressionante è che in Brasile, anche senza esserci un conflitto religioso, una guerra con un paese confinante o una lotta politica armata interna, si verificano più vittime per armi da fuco rispetto a nazioni colpite da una vera e propria guerra.
Per promuovere una cultura di pace in Brasile, dunque, si deve passare necessariamente per la riduzione delle armi in circolazione.

Quali soluzioni? Da questa breve sintesi che vi ho presentato potere capire come la situazione in Brasile sia veramente drammatica.
Quando i giovani qui a Rio parlano di Iraq per descrivere la situazione in cui vivono, non è uno scherzo o un paragone forzato.
Queste cose sono state denunciate spesso, anche nelle varie manifestazioni e camminate per la pace, ma sappiamo che la realtà è complicata e i fattori in gioco sono molti.
La soluzione, dunque, sembra impossibile.

fonte: sito internet.




Altro gravissimo problema è quello delle favelas, problema del quale,finchè non ci documentiamo abbiamo un'idea del tutto fittizia.

Le favelas non sono, come si pensa, sistemazioni logistiche ma sono in realtà trutture politiche consolidate nel tempo per colpa di una politica nazionale completamente disinteressata.
Non è una condizione puramente economica per la quale le persone povere non hanno che questa sistemazione, è invece frutto di una emarginazione che col tempo ha portato alla formazione di politiche interne ed autonome che vanno contro la legge nazionale e quindi ad oggi non si possono trovare soluzioni.
raccomando veramente il film city of god che apre veramente gli occhi sulla situazione del proletariato Brasiliano ma altresì ci mostra quanto quella società sia tanto complessa e forse incomprensibile ai nostri occhi.

I nativi Amerindi

La questione Amerindia

Nel 1992 il Brasile ha ottenuto un finanziamento di duecentonovanta milioni di dollari per garantire la protezione della foresta Amazzonica e delle popolazioni Indiane. In teoria i diritti sulle terre che gli Indiani abitano sono sempre stati riconosciuti dal governo Brasiliano, almeno sulla carta. Nella realtà il massacro delle popolazioni amerindie ha sempre goduto di una certa protezione da parte del governo nella difesa dei proventi economici provenienti dalla terra, dalle miniere e dal disboscamento.

La recente approvazione (1996) di un decreto di legge che limita i diritti degli Indiani sulle proprie terre (in realtà essi godono semplicemente di un usufrutto concesso dal Governo Federale, proprietario unico di tutto il territorio dell'Amazzonia) ha provocato l'invasione dell'80% delle 276 aree protette del paese. Una delle zone più a rischio è anche quella più isolata, la terra degli Yanomami. Distribuiti su una estesa area della foresta ricca di risorse minerarie, al confine con il Venezuela, gli Yanomami hanno conservato più di altre popolazioni indigene la loro cultura tradizionale. Parte di questa popolazione è stata eliminata dai cercatori d'oro e dai corpi militari del governo che hanno sempre giustificato i massacri con la "questione della sovranità nazionale". Il pericolo maggiore è la lo spettro del nazionalismo "militare" che si inasprisce quando la pressione dei gruppi ambientalisti internazionali o le "interferenze" di Amnesty International non possono essere più controllate dal governo brasiliano (come negli anni della presidenza di Jose Sarney, dal 1985 al 1989). L'urgenza di una soluzione per la questione Indiana va di pari passo con la crescente integrazione del Brasile nell'economia mondiale: gli investimenti stranieri e interni non possono che incrementare la necessità dell'espansione di alcune attività molto redditizie che vengono dalla foresta.

Sarebbero i veri abitanti di riditto e invece sono considerati come un fastidio per la popolazione che vi si è insediata, un fastidio che in un modo o nell'altro va eliminato e purtroppo credo che se non è oggi comunque queste popolazioni vedranno presto la loro fine perchè, nel nostro mondo, chi non rende non vale.
Questa è quella che io chiamo la patologia del denaro.

Leggere notizie sulle situazioni di vita di nostri contemporanei ci fa riflettere sulla natura umana immutata dalle origini ad oggi....simlav.

I bambini di strada brasiliani.

BRASILE/Meninos na rua e maninos da rua

Tra il 1991e il 1993 nelle strade del Brasile sono stati uccisi circa cinquemila bambini (più di 4 al giorno). Le statistiche non sono però in grado di fornire dati precisi sul numero di minori che vivono per strada; il numero oscilla tra i tre e i diciotto milioni.

Nonostante l'impegno di molte organizzazioni internazionali, agenzie governative e private che hanno avanzato e attuato molti progetti di recupero e di intervento nei quartieri a rischio delle città brasiliane, gli "squadroni della morte" continuano incessantemente il lavoro di "pulizia". Dopo il massacro di otto bambini di fronte alla Cattedrale Candelaria di Rio (Luglio 1993), uno dei casi più pubblicizzati ma non tra i più feroci, è emerso che le agenzie alle quali si rivolge l'élite carioca per la propria sicurezza sono composte per lo più da poliziotti statali che come secondo lavoro svolgono la professione di children's killer. In realtà, come mostra la cronaca, sono spesso liberi di svolgere la stessa cruenta attività anche "in servizio". Le strategie adottate dalle organizzazioni umanitarie sono rivolte soprattutto ai meninos da rua (i bambini di strada), quelli cioè che vivono giorno e notte in strada, lavorando come lucidascarpe o lavavetri, nella maggior parte dei casi abbandonati dalla famiglia o fuggiti da casa. Esistono però milioni di minori, i meninos na rua (bambini nella strada), che conservano legami famigliari e che sono costretti a lavorare proprio per la famiglia. Il limite tra bambini ad alto rischio, bambini nella strada o bambini della strada è comunque molto labile e si stima che il numero totale sia di trenta milioni di individui (un terzo dei quali non arriva al diciottesmo anno di vita).

Il problema dei bambini di strada è stato il centro della mia tesina di maturità e mi ha sempre interessato, tanto che, sarebbe mio interesse far parte di una organiggazione che opera sul campo, soprattutto quelle che valorizzano le qualità dei bambini brasiliani e canalizzano le loro energie creando squadre di calcio, laboratori circensi, o ancora meglio, quelle che gli insegnano un lavoro utile (nel brasile dei maninos da rua la cultura non dà il pane e se non si vuole che lo rubino bisognerà insegnargli a farselo!) questa è la mia idea,aspetto le vostre.....Simlav

sabato, ottobre 21, 2006

CHE COS'E' LA CAPOEIRA?

cos'è la Capoeira ?




Data di nascita: XIV secolo
Luogo: Brasile
Inventato da: Schiavi africani
Campioni: Nascimento Grande, Manduca da Praia, Mestre Bimba (Manuel do Reis Machado), Master Pastina (Vicente Ferriera Pastinha), Mestre Waldemar, Mestre Eziquiel


Gioco, lotta, danza, musica, rito: la capoeira è una delle più alte espressioni artistiche della cultura afro-brasiliana, oltre che essere una tra le più emozionanti. Nata come forma di difesa degli schiavi africani contro i portoghesi in Brasile e sviluppatasi come arte da strada, negli ultimi anni è diventata uno sport a tutti gli effetti.

Origini misteriose
Le origini della capoeira sono ancora oscure e controverse e costituiscono un affascinante argomento di studio per gli etnografi; storia, mito e folklore si intrecciano spesso senza distinzione. Si sa che i Mucupe, un’antica popolazione dell’Angola, avessero fra i loro riti di iniziazione quello dell’N’golo (o “danza delle zebre”, tuttora praticato), un combattimento tra uomini per aggiudicarsi una moglie. Un’altra teoria definisce la capoeira come una miscellanea di danze, musiche e lotte provenienti da diverse culture africane. I sostenitori dell’origine brasiliana associano invece la capoeira a una danza praticata dagli schiavi, il cui lo scopo era imitare i fieri movimenti della capueira spix, una specie di pernice.

Ma molto probabilmente la vera origine è duplice. Nel XVI secolo i portoghesi trasferirono di forza 4 milioni di africani da Congo, Angola, Mozambico e Guinea in Brasile, per sfruttarli come schiavi nelle piantagioni di caffè e zucchero. Nel corso degli anni alcuni gruppi riuscirono a scappare e a costituire delle comunità indipendenti. È in questo contesto che attorno al 1770 nacque il regno di Quilombo dos Palmares, il più inespugnabile villaggio di ex-schiavi: le truppe dei governatori portoghesi, numerose e armate di archibugi, venivano regolarmente scacciate dall’incredibile tecnica di combattimento a mani nude praticata dagli avversari, appunto la capoeira.

La leggenda vuole che a inventare i movimenti fosse il leader del villaggio, Zumbi, prendendo spunto da antiche arti africane. La parola “capoeira” è invece di sicura origine brasiliana: significava “erba alta” e indicava i terreni in cui si nascondevano gli schiavi.



Simbolo di libertà
Proprio a causa delle vittorie degli schiavi, l’arte della capoeira venne bandita dai coloni portoghesi. Divenne così il simbolo della libertà delle popolazioni ex-africane, che la praticavano di nascosto nelle piantagioni, introducendo la musica per mascherarla da danza. Negli anni la pratica si diffuse anche tra le guardie del corpo dei potenti e tra i peggiori criminali delle città brasiliane. Nella seconda metà dell’Ottocento il governo ingaggiò un gruppo di capoeiristi per contrastare le milizie dei paesi vicini che minacciavano le coste brasiliane: i loro successi ebbero eco in tutto il paese, che li proclamò eroi, fino all’abolizione della schiavitù nel 1888.

La capoeira, sempre più diffusa anche nelle città, rimase però al bando, ammantata da un’aura di criminalità e morte. Le forze dell’ordine perseguitavano senza pietà i capoeiristi allo scopo di estirpare la pratica, ma senza successo, anche perché un buon esperto di capoeira riusciva a tenere testa a 4 poliziotti armati.


La diffusione
Nel 1937 il presidente Vargas invitò a una dimostrazione Mestre Bimba, il più importante maestro dell’epoca: l’esibizione colpì talmente il presidente che il bando venne abolito. Mestre Bimba codificò le regole della capoeira moderna, introducendo la forma “regionale” (più veloce e acrobatica di quella originaria, l’“angolana”) dando inizio alla diffusione della pratica. Nel 1941 Mestre Pastina, soprannominato “il Filosofo della Capoeira”, aprì una scuola di capoeira angolana seguitissima: per la prima volta si insegnava l’arte con un metodo. Bimba e Pastina definirono le sequenze delle figure della capoeira moderna, ancora oggi osservate dei praticanti.

Il successo fu tale che nel 1974 la tecnica di difesa inventata dagli schiavi africani venne riconosciuta come sport nazionale brasiliano e da allora viene insegnata nelle scuole dell’obbligo, nelle università e nelle accademie militari; è considerata un’arte marziale dall’alto valore educativo, culturale e artistico. Cantanti come Gilberto Gil e Caetano Veloso e scrittori come Joege Amado ne hanno celebrato la grazia.

Dalla fine degli anni Ottanta la danza-lotta brasiliana ha incominciato a diffondersi in tutto il mondo, con l’apertura di scuole e federazioni, fino a diventare un fenomeno di costume. A livello agonistico la capoeira è ancora agli albori: si disputano solamente saltuari incontri tra nazioni a scopo dimostrativo.

La capoeira in Italia
In Italia la capoeira è arrivata verso l’inizio degli anni ‘90, con le esibizioni per le strade delle città di gruppi brasiliani. Grazie all’iniziativa di alcuni maestri brasiliani, nel giro di un decennio sono nate scuole che propongono diverse versioni dell’antica e spettacolare arte marziale.

Regole: Scopo del gioco
La capoeira è un mezzo di difesa e di attacco dalla straordinaria rapidità dei movimenti. Il contatto fisico è assolutamente vietato: lo scopo non è atterrare l’avversario, ma arrivargli vicino per fargli capire che, volendo, lo si potrebbe colpire. Per definizione la capoeira non si combatte né si danza, ma si gioca. Il capoeirista considera l’altro combattente un avversario e un amico allo stesso tempo.

La roda
Un gruppo di capoeiristi si dispone in cerchio (roda) e incomincia a scandire il ritmo di gioco con il canto e con gli strumenti tipici: berimbau (un arco a una corda), pandeiro (piccolo tamburo), atabaque (strumento a percussione), agogo (campana). Due atleti entrano nel cerchio e incominciano ad affrontarsi praticando i movimenti della danza guerriera, dapprima lenti, poi, seguendo il ritmo crescente della musica, sempre più veloci. Salti, calci, acrobazie e movimenti squilibranti proseguono fino alla fine del ritmo, deciso dal maestro, per dare modo ai contendenti di mettere in pratica le figure più spettacolari. Oltre all’elasticità è richiesta la dote dell’autocontrollo, per evitare di centrare involontariamente l’avversario con colpi mortali.

I colpi
La capoeira utilizza un numero piuttosto vasto di colpi. La posizione di base è chiamata ginga (dondolamento), che permette, attraverso movimenti aggraziati e plastici, di distrarre l’avversario. Una figura fondamentale è costituita dall’au (stella), che prevede movimenti disorientanti come la rasteira (una forma di sgambetto) e traumatizzanti come la cabeçada (testata).

La capoeira angolana, la più antica forma dell’arte marziale, si caratterizza per la lentezza dei movimenti e la vicinanza al suolo dei combattenti (angoleiros). Si praticano movimenti spesso appoggiandosi sulle mani e sfiorandosi con le gambe. La capoeira regionale, di più recente codificazione, prevede la posizione eretta dei protagonisti e una serie di figure molto più dinamiche e veloci; include sequenze molto più pericolose e spettacolari dell’angolana. Esiste anche una versione praticata con il coltello.


I soprannomi
Quando in Brasile la capoeira era ancora fuorilegge, per la polizia era molto difficile contrastare gli ex schiavi. Oltre che imbattibili nella lotta, i capoeiristi brasiliani sfuggivano a ogni controllo legale: erano infatti noti solo per i loro soprannomi e nessuno ne conosceva la vera identità. Inoltre avevano due o tre nomignoli diversi, cosa che confondeva ancora di più le forze dell’ordine. Ancora oggi tutti i grandi capoeiristi hanno mantenuto il vezzo del soprannome.


Hanno detto
“La capoeira mi ha insegnato la disciplina, l’intelligenza, l’amicizia e il rispetto per la gente. Tutti i movimenti che ho imparato mi hanno aiutato a comportarmi nella vita. La capoeira è una filosofia di vita.”
Mestre No (Norival Morreira de Oliveira), maestro di capoeira

fonte:enciclopedia omnia2004

QUANDO un uomo è libero?

QUANDO UN UOMO E’ LIBERO?
Vedo dalla finestra macchine che passano, nei volti delle persone che guidano, non esistono emozioni, lo sguardo fisso in avanti e magari dentro la voglia di evadere.
Tutti insieme mettiamo le nostre energie per far fronte ai bisogni della società che sono infiniti.
Ma dov’è il limite a tutto questo? Fino a dove è giusto chiedere da una persona?
Non mi piace questo modo,non mi piace lo sfruttamento che è ormai accettato come naturale; ho troppe domande, nessuna risposta ma una certezza:amo e sogno la libertà, voglio capire fino a dove è lecita e lottare perché un giorno diventi realtà.
Non voglio più vedere nei volti delle persone che guidano, assenza di emozioni, lo sguardo fisso in avanti,vorrei che potessero evadere.
Chiunque ha il diritto di vivere libero ma non libero di non fare, libero di pensare, di esprimersi, e di avere una propria coscienza.
Chi è libero non ha limiti,la sua mente è sciolta da ogni catena e niente più è impossibile,questo è il vero progresso che potrebbe salvarci da questa regressione che va avanti ormai da un secolo.
Fatti non foste per viver come bruti.


SIM-LAV
PAIN
ho scritto questo breve testo un anno fa,in V superiore, una mattina di tempo brutto in cui rimasi colpito dalle facce assenti e a mio avviso infelici della gente ferma in coda che sembrava volesse dissolversi da quella realtà, questa situazione mi ha messo addosso una tale tristezza che mi ha insegnato ciò che desidero di più...


...voi cosa pensate al riguardo?

venerdì, ottobre 20, 2006

Questione di priorità.

Che cos'è più importante:
impegnare una vita a cercare di interpretare le ragioni prime dell'esistenza oppure rifiutare il problema limitandosi a galleggiare, per inerzia, su un'acqua a noi sconosciuta?
a voi le risposte...Simlav...

Visita il Blog del Rayo de Sol Capoeira:

http://rayodesolcapoeira.blogspot.com/