domenica, ottobre 22, 2006

Il Ministro Gil

Il ministro col birimbao
Gilberto Gil, il musicista ministro della cultura in Brasile, e le sue canzoni



“Per un cittadino che ama la propria gente, che si interessa dei problemi sociali, che si impegna per cambiare le cose, avere la possibilità di svolgere un ruolo politico è un’occasione unica, da non perdere. Per questo essere il ministro della cultura del mio Brasile per me è un onore”. Con queste parole Gilberto Gil, uno dei cantautori brasiliani più famosi al mondo, ha concluso il suo concerto di domenica 3 luglio al teatro Dal Verme di Milano, per la rassegna Milanesiana. Gli spettatori non hanno resistito a lungo inchiodati alle poltroncine. La musica del ministro di Lula ha pian piano conquistato tutti, trascinando menti e cuori. Il finale è stato un tripudio di balli improvvisati. Tutti in piedi, trasportati dai ritmi di birimbao (o berimbau), percussioni, chitarre e fisarmonica.

Lo spirito bahiano. “Faccio il ministro undici mesi all’anno e per un mese indosso i panni del musicista e canto, suono, ballo con la mia band. Tutto questo a discapito, certo, della mia musica. Il tempo dei compositori è tiranno. Sono ormai due anni e mezzo che non compongo una nuova canzone, ahimè, ma il mio impegno politico con Lula è talmente coinvolgente, appagante, che sono felice così”, ha continuato Gil, vero e proprio idolo per i brasiliani e in particolare per i bahiani. Gilberto Gil è infatti nato 63 anni fa a Salvador, la capitale dello stato di Bahia, dove monumenti e strade lo richiamano, lo invocano, lo ricordano a ogni passante. Gil, protagonista del rinnovamento musicale del suo Paese, è colui che ha dato il via insieme a Caetano Veloso alla nascita del "tropicalismo", movimento che partiva dalla bossa nova di Joao Gilberto e Antonio Carlos Jobim per recuperare tratti della musica popolare bahiana e di altri linguaggi dell’intero Nord-est. La sua è una carriera eccezionale, dallo stile in continua mutazione. Ha ottenuto undici dischi d’oro, cinque dischi di platino e i suoi album hanno venduto più di cinque milioni di copie. Ma quel che più conta è che Gil è il simbolo del riscatto del negro, è l’emblema dell’afrodiscendente che parla di uguaglianza, di pace, di solidarietà. E’ l’artista del no a barriere, a pregiudizi. E’ l’uomo che è dovuto fuggire dal suo paese perseguitato dalla dittatura che lo avrebbe voluto imbavagliato e silente. E’ colui che ha conosciuto Hendrix e i Beatles, che ha girato il mondo dando e ricevendo carisma, intelligenza, talento, e ovunque cantando di schiavi, di negros, di libertà, di disuguaglianze e riscatto della gente povera. Gil canta le favelas, le baracche scintillanti per la gioia di vivere e la capacità di sorridere. La sua musica racconta l’arcobaleno che il popolo brasiliano nasconde nei grandi occhi neri, pieni di orgoglio e determinazione, di forza e bellezza.

Un simbolo del cambiamento. “Quando Lula mi ha chiesto di diventare ministro ho capito che era arrivato il momento, finalmente avrei potuto mettere la mia predisposizione a comunicare col pubblico al servizio del mio popolo. Il ministro della cultura brasiliana è colui che sa comunicare a tutti, senza distinzioni, senza pregiudizi. E aver scelto uno come me, di discendenza africana e esponente della classe media è un vero segno di cambiamento, un esempio chiaro e importante”, aggiunge. E durante il suo concerto canta in ogni lingua, suona la musica di culture differenti riunite con maestria e sonorità uniche. Dall’omaggio a Chuk Berry si arriva a una struggente Imagine di John Lennon, dal messaggio universale. E passando per samba e bossa nova brasiliane Gil tocca il tango latinoamericano, citandone la leggenda uruguayana che ne attribuisce le origini al suono di una percussione arrivata dall’Africa assieme agli schiavi deportati. E quindi il tributo a Bob Marley, colui che ha rivoluzionato la melodia, il ritmo, ma soprattutto “colui che ha portato il messaggio della pace, del rispetto per l’altro, della rivolta del povero in giro per il mondo. Colui che mi ha dato speranza, che ha portato luce e solidarietà a chi non aveva nemmeno di che sfamarsi”. E quindi canta in inglese, in spagnolo e in francese. La sua La lune de Gorée è un vero e proprio manifesto dell’uguaglianza, è un urlo di dolore, una denuncia dell’orrenda schiavitù. Scritta con Capitan, è in lingua francese perché dedicata ai senegalesi, colonizzati dalla Francia e deportati in massa per secoli. “La luna che si alza sull’isola di Gorée è la stessa che si alza in ogni parte del mondo. Ma la luna di Gorée ha un colore profondo, che non esiste in nessun’altra parte del mondo. E’ la luna degli schiavi. La luna del dolore. Eppure la pelle dei corpi di Gorée è la stessa pelle che copre tutti gli uomini del mondo. E’ la pelle degli schiavi, una bandiera di libertà”.

Manifesto programmatico. Il programma di governo del ministro della cultura del Brasile sta dunque esattamente nelle sue canzoni: parlare lo stesso linguaggio, vivere in un mondo senza barriere né conflitti, godere di diritti uguali per tutti e praticare una religione universale. In Guerra Santa il suo pensiero è chiaro. Nato nella culla del sincretismo religioso, nella Salvador degli axé (oggetti sacri delle divinità) e dell'iconografia cattolica, Gil è cresciuto con un forte senso della religione, quella imposta, quella dei santini da vendere e delle grazie da comprare. Quella è la città dove il condomblé, rituale d'origine africana per ingraziarsi gli dei chimati orishá, va a braccetto alla messa cattolica; è il luogo dove si offrono sacrifici agli dei e subito dopo si fa la comunione nelle centinaia di chiese cattoliche sparse ovunque; è il posto dove il profano fuso al sacro sta alla base della cultura, delle società, del quotidiano. Inconfondibile dunque il suo pensiero: “Il nome di Dio può essere Oxalá, Gesù, Tupã, Maometto, e sono tanti e i più differenti, sì, ma per sogni uguali”.

La chiusa perfetta. E se si pensa che la canzone prescelta per l’encore, per la chiusura nel tripudio generale è Nos barracos da cidade, il messaggio di Gil è presto svelato. Scritta nel 1985, è la voce del popolo delle baracche contro la corruzione dei politici locali che promettono, promettono, senza mai mantenere. E’ il ministro che canta “Nelle baracche della città, nessuno più ha l’illusione nel potere dell’autorità di prendere una decisione […]. Il governatore promette ma il sistema dice no. I guadagni sono molto grandi, ma nessuno ama aprire la mano. Perfino una piccola parte già sarebbe la soluzione. Ma l’usura di quella gente è ormai diventata una storpiatura. Oh, gente stupida. Oh, gente ipocrita”. Che sia la risposta a tutte le accuse di corruzione che il governo Lula sta cercando di affrontare? Che sia un modo per ricordare che lui fa parte di un governo di persone che hanno fatto della lotta alla corruzione una ragione di vita?

Un persidente del consiglio come Lula e un ministro come Gil sono veramente una svoltà e un soffio di speranza per il popolo Brasilia (o meglio per i deboli Brasiliani) .Un ministro nativo Africano venuto dal popolo e soprattutto amato da tutti, se riesce a non cadere nella tela della corruzione, che per altro nella politica Brasiliana è potentissima e diffusa pressochè ovunque, questo potrebbe avere ottime ripercussioni sia a livello nazionale che per quanto riguarda tutti i paesi più arretrati....Simlav

favelas e giovani.

Le Favelas in Rio

Per chi non conosce la geografia di Rio de Janeiro è bene dire che la città ha al suo centro la più grande foresta urbana del mondo (foresta da Tijuca).
In questi ultimi 30- 40 anni si sono sviluppate una quantità enorme di favelas (loro si dicono comunità perché favela è un termine dispregiativo) nelle zone marginali e specialmente lungo le pendici delle colline della stessa foresta.



Una miriade di favelas. Nel linguaggio comune di Rio, dire morro (collina) è diventato sinonimo di favela. A Rio ci sono 701 favelas, dove vivono circa 1,5 milioni di abitanti e il comune di Rio ne ha 5,5 milioni. Significa che un abitante su 5 vive in questo tipo di situazione.
Il potere pubblico fin dall’inizio non si è interessato e ha abbandonato le favelas guidati dalla logica di ghettizzare i neri e i poveri, seguendo la filosofia del "che si arrangino, basta che stiano lontani". Ma cosi facendo ha permesso che ogni comunità si organizzasse da sola. Non essendo aree dove regnava la legge sono diventate dominio progressivo di traffici illegali, specialmente della droga.

Città di Dio. Un buon film per capire alcune cose sulla situazione urbana di Rio è il film brasiliano : “Cidade de Deus” e se non lo avete visto ve lo consiglio.
Nel film si vede in che modo si è organizzato chi vende la droga. Via via, un po' alla volta, il commercio ha occupato progressivamente gli spazi e la guerra fra bande per il controllo delle aree ha invaso la quotidianità.
Attualmente sono tre le fazioni (dette anche falangi) che gestiscono il narco-traffico a Rio: Comando Vermelho (il più vecchio), Terceiro Comando, Amigos dos Amigos. Ogni favela di Rio appartiene a uno di questi tre gruppi e chi appartiene a una favela può circolare solo nelle favelas dello stesso gruppo.
Le favelas sono come città chiuse, entra solo chi è conosciuto e chi ci abita, tutti gli altri sono potenziali nemici o poliziotti.

Nemici per la pelle. Siccome gli appartenenti a fazioni rivali si considerano tra loro nemici mortali, succede che quando le persone vanno in carcere (sia trafficanti che ladri comuni) sono tutti paragonati ai trafficanti e devono decidere a quale gruppo appartengono e andare nella area di quel gruppo. Anche chi ha commesso reati comuni e non appartiene a fazioni criminose è obbligato dalla polizia a scegliere di identificarsi con una fazione. Cose assurde.

Cifre non parole. Per riassumere quanto descritto basta guardare il rapporto dell'Unesco sui morti per arma da fuoco in Brasile. Negli ultimi dieci anni queste vittime superano il numero di quelle registrare in 23 conflitti bellici, passando al secondo posto dopo le guerre civili di Angola e Guatemala.
In questo periodo sono morte 325.551 persone, una media di 32.555 morti per anno. I dati fanno parte dello studio: “Mortes Matadas por armas de fogo no Brasil 1979 – 2003”, che è stato diffuso il 27 giugno dal rappresentante UNESCO in Brasile, Jorge Werthein e dal Presidente del Senato Federale, Renan Calheiros, al Senato, in Brasília (DF).
Questo studio ha come obiettivo di sensibilizzare la società brasiliana sull’importanza del disarmo della popolazione e l’approvazione del referendum per restringere il libero commercio delle armi da fuoco, che deve essere approvato in questi giorni .
Lo studio rivela che tra il 1979 e il 2003 le armi da fuoco abbiano ucciso 550 mila persone. Il che significa 35mila vittime all’anno, 100 al giorno.
La ricerca conferma che i giovani tra i 15 e i 24 anni sono le principali vittime: 206mila. Solo nel 2003, nel 41,6% dei casi erano giovani.

Giovani, triste primato. La ricerca è stata fatta in base ai dati del sistema di informazione della mortalità brasiliano (DATASUS del ministero della salute) e poi confrontato con dati internazionali. E’ stato comparato anche con altre tipo di morti (incidente stradale, malattie, ecc..). Inoltre queste morti sono state confrontate con il numero delle vittime di 26 conflitti armati di 25 paesi del mondo in diversi periodi.
Quello che risulta impressionante è che in Brasile, anche senza esserci un conflitto religioso, una guerra con un paese confinante o una lotta politica armata interna, si verificano più vittime per armi da fuco rispetto a nazioni colpite da una vera e propria guerra.
Per promuovere una cultura di pace in Brasile, dunque, si deve passare necessariamente per la riduzione delle armi in circolazione.

Quali soluzioni? Da questa breve sintesi che vi ho presentato potere capire come la situazione in Brasile sia veramente drammatica.
Quando i giovani qui a Rio parlano di Iraq per descrivere la situazione in cui vivono, non è uno scherzo o un paragone forzato.
Queste cose sono state denunciate spesso, anche nelle varie manifestazioni e camminate per la pace, ma sappiamo che la realtà è complicata e i fattori in gioco sono molti.
La soluzione, dunque, sembra impossibile.

fonte: sito internet.




Altro gravissimo problema è quello delle favelas, problema del quale,finchè non ci documentiamo abbiamo un'idea del tutto fittizia.

Le favelas non sono, come si pensa, sistemazioni logistiche ma sono in realtà trutture politiche consolidate nel tempo per colpa di una politica nazionale completamente disinteressata.
Non è una condizione puramente economica per la quale le persone povere non hanno che questa sistemazione, è invece frutto di una emarginazione che col tempo ha portato alla formazione di politiche interne ed autonome che vanno contro la legge nazionale e quindi ad oggi non si possono trovare soluzioni.
raccomando veramente il film city of god che apre veramente gli occhi sulla situazione del proletariato Brasiliano ma altresì ci mostra quanto quella società sia tanto complessa e forse incomprensibile ai nostri occhi.

I nativi Amerindi

La questione Amerindia

Nel 1992 il Brasile ha ottenuto un finanziamento di duecentonovanta milioni di dollari per garantire la protezione della foresta Amazzonica e delle popolazioni Indiane. In teoria i diritti sulle terre che gli Indiani abitano sono sempre stati riconosciuti dal governo Brasiliano, almeno sulla carta. Nella realtà il massacro delle popolazioni amerindie ha sempre goduto di una certa protezione da parte del governo nella difesa dei proventi economici provenienti dalla terra, dalle miniere e dal disboscamento.

La recente approvazione (1996) di un decreto di legge che limita i diritti degli Indiani sulle proprie terre (in realtà essi godono semplicemente di un usufrutto concesso dal Governo Federale, proprietario unico di tutto il territorio dell'Amazzonia) ha provocato l'invasione dell'80% delle 276 aree protette del paese. Una delle zone più a rischio è anche quella più isolata, la terra degli Yanomami. Distribuiti su una estesa area della foresta ricca di risorse minerarie, al confine con il Venezuela, gli Yanomami hanno conservato più di altre popolazioni indigene la loro cultura tradizionale. Parte di questa popolazione è stata eliminata dai cercatori d'oro e dai corpi militari del governo che hanno sempre giustificato i massacri con la "questione della sovranità nazionale". Il pericolo maggiore è la lo spettro del nazionalismo "militare" che si inasprisce quando la pressione dei gruppi ambientalisti internazionali o le "interferenze" di Amnesty International non possono essere più controllate dal governo brasiliano (come negli anni della presidenza di Jose Sarney, dal 1985 al 1989). L'urgenza di una soluzione per la questione Indiana va di pari passo con la crescente integrazione del Brasile nell'economia mondiale: gli investimenti stranieri e interni non possono che incrementare la necessità dell'espansione di alcune attività molto redditizie che vengono dalla foresta.

Sarebbero i veri abitanti di riditto e invece sono considerati come un fastidio per la popolazione che vi si è insediata, un fastidio che in un modo o nell'altro va eliminato e purtroppo credo che se non è oggi comunque queste popolazioni vedranno presto la loro fine perchè, nel nostro mondo, chi non rende non vale.
Questa è quella che io chiamo la patologia del denaro.

Leggere notizie sulle situazioni di vita di nostri contemporanei ci fa riflettere sulla natura umana immutata dalle origini ad oggi....simlav.

I bambini di strada brasiliani.

BRASILE/Meninos na rua e maninos da rua

Tra il 1991e il 1993 nelle strade del Brasile sono stati uccisi circa cinquemila bambini (più di 4 al giorno). Le statistiche non sono però in grado di fornire dati precisi sul numero di minori che vivono per strada; il numero oscilla tra i tre e i diciotto milioni.

Nonostante l'impegno di molte organizzazioni internazionali, agenzie governative e private che hanno avanzato e attuato molti progetti di recupero e di intervento nei quartieri a rischio delle città brasiliane, gli "squadroni della morte" continuano incessantemente il lavoro di "pulizia". Dopo il massacro di otto bambini di fronte alla Cattedrale Candelaria di Rio (Luglio 1993), uno dei casi più pubblicizzati ma non tra i più feroci, è emerso che le agenzie alle quali si rivolge l'élite carioca per la propria sicurezza sono composte per lo più da poliziotti statali che come secondo lavoro svolgono la professione di children's killer. In realtà, come mostra la cronaca, sono spesso liberi di svolgere la stessa cruenta attività anche "in servizio". Le strategie adottate dalle organizzazioni umanitarie sono rivolte soprattutto ai meninos da rua (i bambini di strada), quelli cioè che vivono giorno e notte in strada, lavorando come lucidascarpe o lavavetri, nella maggior parte dei casi abbandonati dalla famiglia o fuggiti da casa. Esistono però milioni di minori, i meninos na rua (bambini nella strada), che conservano legami famigliari e che sono costretti a lavorare proprio per la famiglia. Il limite tra bambini ad alto rischio, bambini nella strada o bambini della strada è comunque molto labile e si stima che il numero totale sia di trenta milioni di individui (un terzo dei quali non arriva al diciottesmo anno di vita).

Il problema dei bambini di strada è stato il centro della mia tesina di maturità e mi ha sempre interessato, tanto che, sarebbe mio interesse far parte di una organiggazione che opera sul campo, soprattutto quelle che valorizzano le qualità dei bambini brasiliani e canalizzano le loro energie creando squadre di calcio, laboratori circensi, o ancora meglio, quelle che gli insegnano un lavoro utile (nel brasile dei maninos da rua la cultura non dà il pane e se non si vuole che lo rubino bisognerà insegnargli a farselo!) questa è la mia idea,aspetto le vostre.....Simlav

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